Piccola storia dell’ascensore

Spesso del passato abbiamo una concezione abbastanza idilliaca, e a voler ben vedere anche un po’ eccessivamente idealizzata: se pensiamo per esempio alle città, le immaginiamo fatte di case basse, cieli liberi e luminosi, e orizzonti sgombri, ben differenti dalle moderne skyline fatte di grattacieli. A dirla proprio tutta, non abbiamo esattamente ragione: già a Roma antica, nei quartieri più poveri, sorgevano le insulae, veri e propri condomini a molti piani con piccoli appartamenti.

Ma tutto sommato, non stiamo sbagliandoci di parecchio quando pensiamo che la diffusione massiccia di palazzi alti come quelli a cui siamo abituati è un fatto degli ultimi cent’anni: ed è un fatto che ha radicalmente trasformato il modo in cui viviamo, lavoriamo, e ci muoviamo. Fra i suoi effetti curiosi c’è stato quello di rendere pressochè vitale un’invenzione che era a lungo stata relegata prima fra le curiosità e poi nei cantieri e nelle industrie, ossia l’ascensore. Dai primi modelli a corde, prima di approdare ai moderni e compatti ascensori per disabili, il percorso di questo dispositivo è stato esteso e complicato.

Ed è stata una cronistoria lunga, quella dell’ascensore, e che ha radici ben più antiche di quanto forse immaginiamo: il primo a nominarlo è l’architetto romano Vitruvio, che ci racconta nei suoi scritti come nel 263 AC ne fosse stato realizzato uno nientemeno che dal notissimo Archimede. È logico che parlando di ascensori, all’epoca, ci si riferisse modestamente a cabine assicurate a corde, che venivano tirate a braccia, o da animali, per sollevarle: pare che ve ne fossero nel monastero Egiziano del Sinai.

Un principio che ovviamente non poteva permetterne una diffusione reale: e infatti ci vollero secoli perché questa si verificasse. Se sorvoliamo sul prototipo basato sulla vite senza fine che l’inventore russo Kulibin progettò nel 1783, e che venne alla fine installato nel Palazzo d’Inverno, non rintracciamo tracce significative di un reale uso degli ascensori fino alla metà dell’Ottocento, quando le esigenze di spostare materiali pesanti li resero utili alle nascenti industrie.

Gli ascensori, a questo punto, erano soprattutto di tipo idraulico: un grande stantuffo posizionato sotto la cabina veniva spinto da una colonna d’acqua, mossa da una pompa, che la portava fino all’altezza desiderata. Gli impianti di questo tipo erano molto diffusi, e nel 1882, a Londra, la London Hydraulic Power Company controllava una rete di tubi ad alta pressione che alimentava circa 8000 dispositivi su entrambe le sponde del Tamigi.

Non è però affatto arduo ravvisare il limite di questo sistema, che fu anche la motivazione che finì col mandarlo in disuso: più l’edificio era alto, più il pistone – e il pozzo pieno d’acqua sottostante – dovevano essere lunghi e profondi, il che lo rendeva un metodo decisamente poco pratico per le grandi altezze.

Ben presto, infatti, vennero sviluppati sistemi a cavi e carrucole, resi sicuri dall’invenzione del freno di sicurezza, che impediva lo schianto della cabina in caso di lacerazione del cavo, da parte di Elisha Otis, nel 1852. Cinque anni più tardi, al 488 di Broadway a New York, veniva installato appunto dalla Otis il primo ascensore per passeggeri, e quasi trent’anni dopo, ad opera di Von Siemens e Freissler, nacque l’ascensore elettrico come noi lo conosciamo.